Gallicianò, Mimmo e gli ultimi greci di Calabria

Se questa eredità culturale verrà perduta vorrà dire che siamo davvero dei grandissimi zangrei.

Un passo indietro.

Il giorno prima dell’escursione a Gallicianò io ero già a Gallicianò. Avevo voglia di vedere questo posto anche da solo, coi miei tempi morti.

Arrivo in auto di pomeriggio, sul tardi, e non c’è nessuno. Un piccolo spiazzo urbano è adibito al gioco del pallone. Due porte arrugginite troppo grandi per un campetto così piccolo. Dev’essere ancora più dura del solito organizzare una partita di calcetto a queste latitudini, con questo mortorio. Cammino e avverto finalmente qualcuno. Padre e figlio sono venuti a trovare i nonni per il fine settimana.

Qualche altro passo incerto e poi svolto. Ecco che da una finestra vengono fuori dei fonemi strani. Mi sa che non è dialetto. È buffo per me sentire il greco con accento calabro.

Gironzolo per vie dai nomi strani, che non riesco a pronunciare perché io ho fatto lo scientifico e ho studiato solo latino. Chiedo informazioni alle poche persone che incontro e tutti mi mandano da Mimmo, che sta facendo il giro del borgo con alcuni visitatori.

Continuo la mia passeggiata, senza cercarlo. Salgo all’anfiteatro, mi infilo sotto degli archi di pietra e mattoni che incorniciano perfettamente la manciata di case che formano il paese. Infine mi arrocco nel punto più alto, davanti alla chiesetta ortodossa, fatta anche quella della stessa pietra che costeggia la fiumara. Improvviso un aperitivo con la sola compagnia di qualche tegola. Intanto noto che i turisti stanno andando via e le luci, con la prima sera, si stanno accendendo.

Scendo giù in piazza davanti alla chiesa principale. Un lampione ribelle che si accende ad intermittenza mi conduce in una stradina laterale semibuia dove trovo Mimmo.

Ha la mascherina che gli penzola da un orecchio. Evidentemente ha finito il suo lavoro e si gusta la frescura di una panchina con vista sulla montagna. Mi parla con una voce tenue e leggermente affaticata che mi costringe ad avvicinarmi per riuscire a udirla, quasi sovrastata dai versi sgraziati degli animali allevati nel dintorni, qui presenti in numero di certo maggiore rispetto ai residenti umani. Capisco grazie alle sue parole il valore di questa realtà priva di fama, anche fra i Calabresi stessi. Mi sento fortunato ad aver fatto ancora in tempo ad ascoltare queste voci calabro-elleniche destinate a scomparire forse proprio con questa generazione.

Fa riflettere che ancora adesso si parli questa lingua con una certa esitazione, quasi vergogna, a causa di un antico retaggio che i Greci di Calabria subirono quando entrarono in contatto con l’esterno, con gli Italiani: vennero etichettati con il termine di “zangrei”, un termine che evidentemente assunse un’accezione dispregiativa che stava a significare “volgare, rozzo, ignorante”.

Ci salutiamo, un po’ in greco un po’ in dialetto.

Mi allontano dal paese. Quella parola strana mi vaga ancora per la testa.

Se questa eredità culturale verrà perduta vorrà dire che siamo davvero dei grandissimi zangrei.

Articolo e foto di @scrivimiquandoarrivi