Aria grecanica

Ci togliamo le scarpe e ci bagniamo i piedi nell’Amendolea per poi asciugarli con l’ultimo sole che queste montagne ci concedono. Io e Aria camminiamo da ore, la stanchezza si fa sentire e il cielo si è improvvisamente coperto. Meglio andare.

Un urlo lancinante attraversa l’ampia distesa di ghiaia. Nel silenzio e nella pace delle 8 di una domenica mattina, quel grido di dolore mi blocca in gola l’ennesimo pezzo di pane e marmellata che stavo golosamente buttando giù e manda in miseria l’ultima parte di quel momento sacro che è la colazione. “È appena iniziato ottobre, un po’ presto per ammazzare il maiale” mi dice il proprietario dell’agriturismo che mi ha ospitato la notte precedente, vedendomi turbato per quanto stava accadendo nelle vicinanze. Intanto i lamenti del povero animale continuano a risuonare. “Forse lo stanno castrando” si corregge. Butto giù un po’ di succo di bergamotto, mi alzo e cerco con lo sguardo di localizzare nella scarpata di fronte la provenienza esatta di quel guaito. “Forse era meglio se l’ammazzavano” conclude Ugo.

Inizia così la mia seconda giornata sulla fiumara Amendolea. L’appuntamento è alle 8:30 proprio qui all’agriturismo. Approfitto del ritardo degli altri per contemplare la Rocca del Lupo e la distesa di bergamotto che ho proprio sotto il naso. Sono arrivati. Siamo una “murra” (tanti). Briefing iniziale e si parte. “Quello di oggi è detto anche informalmente sentiero dei cancelli” dice Andrea. E capisco subito il perché: non facciamo altro che aprire e richiudere cancelli che servono evidentemente a contenere gli animali. Seguo Aria in testa al gruppo che mi porta proprio sui ciottoli dell’Amendolea. Scodinzola felice. Capisco che quello è il modo giusto con cui affrontare la giornata. La imito.

Si sale per un paio di ore lungo mulattiere. La fame mi porta a scuoiare fichi d’India, qui abbondantissimi. Incontriamo un pastore sulla sua vespa stargata. Gli chiedo una foto. Si concede. Gli dico di fare attenzione perché è sul ciglio del dirupo. Con un sorriso mi fa capire che non è il caso di preoccuparsi. Ci saluta e scompare dietro la curva sterrata. Ci siamo quasi. Ecco la strada asfaltata adesso. A lato una serie di casupole. Frigoriferi coricati e vasche da bagno fungono da abbeveratoi per gli animali. Capiamo che siamo arrivati davvero vedendo alcune bandiere: so’ greche.

Sono le 13 in punto. Aria arriva in città. Una lontana, piccola sagoma nera la mette all’erta. Si immobilizza per alcuni secondi. Parte il flauto de “Il buono, il brutto, il cattivo”. In breve decide di sferrare l’attacco. Il primo gatto se la svigna se la svigna arrampicandosi su un muro. Aria annusa per terra come fosse un segugio, sente altre prede nelle vicinanze. Si intrufola per le viuzze. La perdo di vista. Sento che sta seminando il panico. Dopo pochi secondi un gatto ci taglia la strada alla velocità della luce con Aria al seguito. I gatti più piccoli, i più indifesi, si sono rintanati su un balcone davanti ad un uscio di una casa, proprio nella piazza centrale. Aria abbaia. Ha vinto. Ha espugnato Gallicianò.

È l’ora del panino. Mi piazzo davanti al bar, sotto ad una piccola vecchia insegna del telefono. Roba vintage per davvero. Mi sdraio. Prego affinché il balcone malconcio sopra di me non renda eterno questo mio momentaneo riposo.Il bar così come anche la trattoria del paese sono aperti su richiesta. Chiedi e dopo un po’ arriva qualcuno ad alzare la serranda. Pochi minuti dopo l’apertura ecco anche il ragazzo in vespa di prima. Si gode una Peroni insieme ai viandanti forestieri.

Io mi perdo in cronache di maiali castrati ed inseguimenti canino-felini, ma se fossi una persona seria dovrei raccontare un’altra storia, dopo quelle di Roghudi e di Africo, a dir poco interessante.

Gallicianò è la vera roccaforte della grecità aspromontana. È un posto prezioso perché qui resistono le ultime tracce della cultura e tradizione grecanica. Infatti si parla ancora il greco di Calabria. Forse perché è stato uno degli ultimi posti ad essere raggiunto dall’asfalto. L’isolamento quasi totale ha avuto il risvolto positivo di proteggere nei secoli questa lingua antica risalente alla dominazione greca, non so quanti secoli prima di Cristo. Adesso qui il telefono mi segna tre tacche su quattro e una stradina, anche se malmessa, c’è. Quel poco di progresso ha messo a repentaglio le antiche tradizioni elleniche del posto. Il greco lo parlano principalmente gli anziani e morirà se i suoi 35 abitanti, prevalentemente pastori, non riusciranno a tramandarlo.

Mimmo, un gallicianoto DOC dalla grande cultura, nonché Cicerone del paese che meriterebbe un articolo a sé, ci conduce prima nel museo etnografico, poi alla chiesetta ortodossa. È tardi e dobbiamo iniziare a scendere. Mimmo ci saluta con un rincuorante “kalispéra”.

Passiamo dalla piazza dove un gruppetto di persone gioca a carte. Per fotografarli perdo di vista quasi il gruppo. Appena lasciato il paese una tarantella in lontananza pare volerci salutare. Si torna alla base ma da un percorso diverso dall’andata. Sempre aprendo e chiudendo inferriate, di tutti i tipi. Alcune staccionate fatte con le reti del materasso, risultano essere quasi delle opere di arte povera inconsapevoli che esprimono tutto il senso di precarietà, ma anche la capacità di arrangiarsi di queste persone. Ci imbattiamo in un Pandino 4×4, l’unico mezzo ammesso da queste parti. Dentro ci sta riposando qualcuno. Una carovana di trenta persone gli passa accanto senza svegliarlo.

Riecco l’Amendolea, questa volta da un punto di vista inedito. Da qui la fiumara è davvero suggestiva. È ampia, serpeggia tra le montagne in maniera sinuosa, la sua forma zigzagante mi fa intendere che la sua poca acqua non ha fretta di tornare al mare.

Arriviamo giù. Ci togliamo le scarpe e ci bagniamo i piedi nell’Amendolea per poi asciugarli con l’ultimo sole che queste montagne ci concedono. Io e Aria camminiamo da ore, la stanchezza si fa sentire e il cielo si è improvvisamente coperto. Meglio andare. Perché a breve, come diceva una canzone, “potrei evaporare e diventare nuvola, magari un temporale”.

Articolo e foto di @scrivimiquandoarrivi