Africo. Cenere sulle macerie

La cenere dell’incendio piove su queste macerie e si appresta a diventare polvere.

Dopo Roghudi è la volta di Africo. Africo vecchio.

Un altro borgo aspromontano abbandonato. Sempre a causa di un’alluvione, ma 20 anni prima rispetto a Roghudi.

È il nome di questo luogo che mi ha portato qui. Mi fa pensare a deserti aridi, alla natura feroce, a civiltà ignote.

Ma qui pare che il verde della vegetazione abbia vinto sul grigiore edilizio e sugli altri colori.

Sul promontorio accanto a quello su cui sorge Africo è appena scoppiato un incendio, il cui fumo comincia filtrare la luce del sole.

Il processo di abbandono di questi paesi è sempre stato molto discusso e controverso. Quello di Africo forse è stato approfondito un po’ di più rispetto agli altri.

Qui nel 1928 si recò il filantropo Umberto Zanotti Bianco, che nel suo libro “Tra la perduta gente” raccontò all’Italia come si viveva in questo paese in Aspromonte. Ne raccontò sia i valori genuini di fratellanza, di comunione, di ruralità, ma ne evidenziò anche l’arretratezza che dipendeva dall’attitudine di questa popolazione, dalla posizione remota ed inaccessibile, ma anche dalla negligenza dello Stato.

Ad Africo si è sempre vissuto in maniera rurale e quella era (e probabilmente è ancora) l’identità degli africoti. Soprattutto di quelli che hanno conosciuto Africo vecchio.

Il pane che si mangiava ad Africo non era di grano, ma era fatto con la cicerchia, perché il territorio ostile impediva alcune coltivazioni. Africo era fortemente basato sulla pastorizia.

C’è un servizio fotografico del 1948 de “L’Europeo” che mostra questa Calabria nascosta e sconosciuta. Scene di vita ad Africo che sembravano di secoli precedenti.

Dopo l’alluvione del 1951 si è deciso di spostare tutti gli abitanti. Prima vennero temporaneamente sparsi sul territorio, poi trasferiti ad Africo Nuovo. Un agglomerato di costruzioni di dubbia accoglienza, anche a livello visivo, edificato sul mare in una parte del comune di Bianco.

In seguito all’abbandono di Africo, il giornalista Corrado Stajano ha scritto un libro che mette in evidenza i lati oscuri di questo trasferimento.

Questa comunità, dalla spiccata identità montanara, venne trapiantata sulla costa. Pastori, che non avevano mai visto il mare, furono costretti a diventare pescatori. Lo Stato autorizzò questo processo di snaturamento e si limitò ad inefficaci azioni di assistenzialismo, cosa che favorì le tensioni sociali e lo sviluppo della criminalità organizzata.

Entro nella Chiesa di San Nicola, l’unica struttura ancora in piedi per miracolo. Dal tetto squarciato penetrano i raggi del sole di mezzogiorno. La cenere dell’incendio piove su queste macerie e si appresta a diventare polvere.

 

Articolo di @scrivimiquandoarrivi